Ebraismo by Cristiano Grottanelli & Giovanni Filoramo & Paolo Sacchi & Giuliano Tamani
autore:Cristiano Grottanelli & Giovanni Filoramo & Paolo Sacchi & Giuliano Tamani [Grottanelli, Cristiano]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Economica Laterza
ISBN: 9788858134580
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2018-09-26T22:00:00+00:00
9. La religiosità comune verso la fine del periodo del Secondo Tempio
Il quadro del sacerdozio, che abbiamo delineato, lascia nell’insieme perplessi; tra le varie sette giudaiche quella meno «religiosa» sembra essere proprio quella dei sacerdoti. Forse la cosa può dipendere dal fatto che non abbiamo notizie sui sadducei se non da fonti farisaiche o cristiane. È certo, inoltre, che all’interno del sacerdozio ci furono forti tensioni, se il gruppo essenico definiva se stesso come «figli di Sadoq», che noi rendiamo con «sadociti», ma che è il perfetto equivalente di «sadducei». Inoltre è certo che il sacerdozio di Gerusalemme era fortemente implicato nella vita politica; ma ci doveva pur essere qualcuno, come il pio sacerdote Zaccaria di cui parla il vangelo di Luca, per il quale il tempio era veramente la casa di Dio (Lc. 1,8-20).
Come è scomparso dalla memoria storica il ricordo di questi pii sacerdoti che non hanno lasciato traccia di sé, così è scomparsa la memoria della religiosità di tutti coloro, certamente la grande maggioranza, che non aderivano a nessuna setta, né nota né ignota. Da Giuseppe Flavio sappiamo che il numero degli esseni doveva aggirarsi al suo tempo intorno ai quattromila e quello dei farisei non doveva essere molto superiore ai seimila (Antichità giudaiche 17,4 e 18,20); certamente inferiore era il numero dei sadducei. Poiché la storia si fa solo coi documenti, è impossibile parlare seriamente di questa religiosità; ma un certo quadro approssimativo di essa è ricavabile dalla lettura di tutti quei testi che narrano episodi, dove vediamo sullo sfondo gente senza nome.
Si ha l’impressione che fra la gente girassero un po’ tutte le idee che le fonti attribuiscono a questa o a quella setta. L’attesa messianica era diffusa e non doveva escludere nessuna forma. Il Messia atteso poteva essere il figlio di Davide, ma poteva essere anche un profeta tornato sulla terra o un essere superumano. Quando Gesù parla del potere che ha il Figlio dell’Uomo di rimettere i peccati «sulla terra», la gente che ascolta non pone problemi (vedi più avanti). Può domandare chi è il Messia o chi è il Figlio dell’Uomo, ma non domanda che cosa siano né l’uno, né l’altro (Mt. 16,13; Gv. 9,36 e 12,34). Anche il Sommo Sacerdote che interroga Gesù nel sinedrio, credesse o meno alla sua esistenza, tuttavia dimostra di capire bene che cosa significhi «Figlio dell’Uomo» (Mc. 14,63 e paralleli). Il Messia avrebbe portato la salvezza, ma in che cosa consistesse non doveva essere chiaro, come non era chiaro quale dovesse essere la natura del Messia.
Si sapeva che il peccato portava alla rovina. Le parole del Battista «la scure è posta alla radice» (Mt. 3,10) avevano un senso preciso per chi ascoltava. Lo stesso vale per la penitenza. Se qualcuno poi si faceva battezzare da lui, vuol dire che riconosceva che il peccato lasciava una traccia, una traccia che poteva anche trasmettersi di padre in figlio, se qualcuno domandò a Gesù di fronte al cieco nato, se era lui che aveva peccato o i suoi genitori (Gv.
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